mercoledì 5 giugno 2013

Devi essere sordo per capire (Prima Parte)


(Willard J. Madsen)

Che cosa c’è di più terribile che “sentire” una mano?



Devi essere sordo per capirlo!

Che cosa c’è di più terribile che essere un bambino,
a scuola, in una stanza vuota di suono
con una maestra che parla e parla e parla;
e che quando ti viene vicino
si aspetta che tu abbia capito le sue parole?


Devi essere sordo per capire.


O quando la maestra pensa che per farti felice
basti insegnarti a parlare con la tua voce;
come se tu fossi un giocattolo nelle mani di un bambino ignaro
che ti strapazzi per ore ed ore senza fine e pietà,
prima che venga fuori un verso che assomigli a un suono?


Devi essere sordo per capire.


Che cosa c’è di più terribile che avere la tentazione di conoscere
tutte le verità del mondo
e di volerle conoscere con le tue sole forze,
e poi scoprire che questo tuo desiderio è destinato
ad andare in fumo
e allora ti rivolgi a un fratello, a una sorella, a un amico
perché ti guardino per darti una risposta
e che invece ti dicono, “Ma di che t’impicci, lascia perdere!”?


Devi essere sordo per capire.


Che cosa c’è di più terribile che starsene in un angolo in castigo,
pur sapendo di non aver fatto niente di male,
se non di esserti azzardato a usare le mani
per comunicare a un fratello del silenzio
un pensiero che ti è venuto in mente proprio in quel momento?


Devi essere sordo per capire.


Che cosa c’è di più terribile che vedere qualcuno gridare,
qualcuno che è solo convinto di aiutare a sentire;
e interpretare male le parole di un amico
che non vuole far altro che aiutarti a capire,
mentre tu credi che voglia prenderti in giro?


Devi essere sordo per capire.


Che cosa c’è di più terribile di quando ti ridono in faccia,
solo perché tu cerchi di ripetere le parole degli altri
proprio per essere sicuro di aver capito bene,
e poi ti accorgi che non avevi capito niente
e allora vorresti gridare, “Ti prego, fratello, aiutami!”?



L’autore di questa poesia è Willard J. Madsen,

professore al Gallaudet College,

direttore del “Sugn Language Programs”,

sordo.



Abbiamo ritenuto possibile dividere questa poesia del Prof. Madsen in due parti, due momenti che possono esserci utili a capire come il bambino sordo si trovi in ovvia, netta difficoltà, ad essere calato in un mondo di suoni come è il nostro mondo. Nella prima parte di cui mi occuperò in questa sezione (per la seconda vi rimando all’intervento di Nicoletta Esposito, sempre all’interno di www.eticadellacomunicazione.blogspot.it ) emerge chiaramente come nella condizione attuale la vita del sordo sia veramente complicata anzi, per dirla con le parole di Madsen, terribile. . Immaginiamoci per un istante di vivere in un mondo del silenzio, senza che alcun suono raggiunga il nostro orecchio; liberi non solo dal rumore e dal caos cittadino, di quello in pochi potremmo dispiacerci, ma liberi da qualsiasi cinguettio, sibilo, insignificante suono. Ora immaginiamoci nelle nostre classi, nelle aule universitarie, nei nostri uffici, nei supermercati, completamente avvolti dal silenzio. Con i nostri amici che cercano di comunicarci qualcosa emettendo dei suoni che noi non possiamo sentire e che, allora, pensano bene di ignorarci, di lasciarci lì nel nostro mondo ovattato. Pensiamo che nelle nostre scuole i nostri insegnanti si avvicinino a noi urlandoci nelle orecchie credendo di aiutarci così a sentire e… parlare.

Sembra si voglia ignorare che un sordo profondo è quel qualcuno che sin dalla nascita non ha mai avuto esperienza di un suono e che pertanto  non è nemmeno in grado di produrlo; semplicemente perché non ha idea di cosa quel suono sia. «Che cosa c’è di più terribile che essere un bambino,a scuola, in una stanza vuota di suono con una maestra che parla e parla; e che quando ti viene vicino si aspetta che tu abbia capito le sue parole? […]O quando la maestra pensa che per farti felice basti insegnarti a parlare con la tua voce?». Come si può pretendere di insegnare a produrre un suono a qualcuno che non sa cosa sia questo suono? Sarebbe come spiegare ad un cieco che l’arcobaleno è fatto da sette colori, spigargli cosa sia un colore o fargli capire che il cielo è azzurro e non giallo. Il cieco non sa cosa sia il giallo, non sa cosa sia un colore, così come il sordomuto non sa cosa sia un suono. Ecco perché è sordo ed anche muto. Ecco perché insegnare al sordo a parlare con la propria voce non lo rende felice anzi! Lo si costringe ad apprendere una lingua che non è la sua, una cosa che per lui non significa nulla. Quello di cui stiamo parlando è l’oralismo puro a cui tanti bambini sordi sono costretti perché nel 2013 molti genitori e molti medici ritengono che segnare sia qualcosa che non appartiene all’essere umano il quale per essere tale ha bisogno di una lingua parlata: le lingue dei segni vengono considerate, erroneamente, linguaggi e non lingue e dunque non possono essere il discrimine tra l’uomo e la bestia. Il problema dell’oralismo puro però è che non prevede un accesso immediato ad una lingua del soggetto e così facendo destiniamo il bambino sordo a non avere mai una sua lingua. Se si vieta al sordo di accedere alla propria lingua naturale egli non avrà quello sviluppo cognitivo che ogni essere umano ha nel momento in cui accede alla propria lingua naturale. La lingua naturale del sordo è inevitabilmente quella dei segni. Allora  c’è un modo per evitare che il la vita di ogni bambino sordo sia la vita del bambino di Madsen. Se si accettasse questa lingua come appunto una lingua e non un linguaggio il bambino sordo non sarebbe costretto a «starsene in un angolo in castigo, pur sapendo di non avere fatto niente di male,se non di esserti azzardato ad usare le mani per comunicare ad un fratello del silenzio un pensiero che ti è venuto in mente proprio in quel momento».  Ha ragione Madsen, devi essere sordo per capire; devi essere sordo per capire che costringere un sordo a parlare è andare contro la sua natura, devi essere un sordo per capire che se il sordo non segna non ha altro modo per comunicare, devi essere un sordo per capire che il sordo non può parlare e che l’unico modo per evitare che si possa ridergli in faccia, a parte avere un po’ di buona educazione, è lasciarlo esprimere nel modo che più gli è congeniale. (Ovvero la lingua dei segni di cui si occuperà Nicoletta Esposito.)

Insomma devi essere un sordo per poter sperare nell’esistenza di un mondo che sia anche a misura di sordo.





(Realizzato volutamente senza audio)

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